lunes, 14 de diciembre de 2009



Monte Grande festeggia la sua Santa

La storia della Santa

Santa Barbara nacque a Nicomedia (oggi Ismit o Kocael in Turchia) nel 273 d.C.. La sua vita riservata, intenta allo studio, al lavoro e alla preghiera la definì come ragazza barbara, cioè non romana. Era una denominazione di disprezzo. E' questo il nome a noi pervenuto da quello suo proprio. Tra il 286-287 Santa Barbara si trasferì presso la villa rustica di Scandriglia poiché il padre Dioscoro, fanatico pagano, era un collaboratore dell'imperatore Massimiano Erculeo. Quest'ultimo gli aveva donato ricchi e vasti possedimenti in Sabina. Dioscoro fece costruire una torre per difendere e proteggere Barbara durante le sue assenze. Il progetto originario prevedeva due finestre che diventarono tre (in riferimento alla Croce) secondo il desiderio della ragazza. Fu costruita anche una bellissima vasca a forma di Croce. Sia la finestra che la vasca non erano altro che i simboli del cristianesimo a cui la ragazza si era convertita. La tradizione afferma che proprio nella vasca Barbara ricevette il battesimo per la visione di San Giovanni Battista. Il corpo di Santa Barbara si venera, dal 1009, nella chiesa veneziana di S. Giovanni Battista a Torcello. La reliquia del cranio era custodita, prima in un busto di legno poi in uno di metallo, nella chiesa di S. Barbara dei Librari. Con la soppressione della parrocchia di S. Barbara, avvenuta il 15 settembre 1594, l’insigne reliquia fu portata a San Lorenzo in Damaso. Il reliquiario parte in argento, parte argento e bronzo dorato, è da attribuirsi alla prima metà del XVI secolo. Il Diario Romano (1926) indica a S. Maria in Traspontina, nell’altare a lei dedicato, un frammento di un braccio. Alcune reliquie non insigni di S. Barbara sono conservate, in un cofanetto del XII secolo, nel Tesoro di S. Giovanni in Laterano. Il borgo di Santa Barbara (www.cilentodamare.it) Nel mezzo del Cilento, alle pendici del Monte Sacro, lungo le sponde del fiume Bruca. Le fonti lo vogliono sorto per mano di monaci italo-greci provenienti da Oriente che scappavano dalle persecuzioni. La nascita dell’abitato è, quasi con certezza, da spostare più indietro nel tempo e precisamente al periodo antico. I Focei, infatti, usavano risalire quella che viene oggi denominata la “via del Sale” alla ricerca di legname per alimentare i loro cantieri navali e, in una di queste escursioni, probabilmente si stabilirono sulle sponde dei fiumi Bruca e Palistro. Il punto di partenza sicuro per la storia del piccolo paesino è il 1005. Risale a quell’anno, infatti, un diploma con il quale il principe di Salerno Guaimaro III donò all’abate di Cava il monastero di Santa Barbara. Il fiore all’occhiello di Santa Barbara era la chiesa intitolata al santo patrono “Chiesa di sant’Elia profeta”. Oggi questa non è più visibile. Il pomeriggio del 22 febbraio 1958, infatti, un fulmine si abbatté sul campanile che cadde sulla chiesa abbattuta anch’essa alcuni anni dopo. In ricordo della chiesa caduta, ma soprattutto come devozione per la protezione accordata ai suoi figli, in paese il 22 febbraio si festeggia Santa Barbara.

La festa in Argentina


A Monte Grande ormai da anni l’omonima associazione festeggia la sua Santa nel santuario a lei dedicato. In una meravigliosa giornata di sole domenica 6 dicembre , i devoti si sono riuniti per la tradizionale processione, seguita dalla celebrazione eucaristica. Il missionario scalabriniano ha elogiato Santa Barbara soprattutto come protettrice dei minatori, ricordando il suo legale con i grandi lavori della ditta italiana “Ghella”, che si stanno realizzando per il risanamento del fiume Maldonado. La ditta, infatti, ha gia incominciato a scavare de enormi tunnel al di sotto della città per raggiungere i punti della città che soffrono da anni il problema degli allagamenti. I minatori, gli ingegneri e da sempre la ditta italiana hanno avuto come patrona Santa Barbara.
I devoti di Santa Barbara si sono sentiti orgoglioso di questo progetto, che ci fa onore in Argentina. Dopo la santa messa è seguito il pranzo, accompagnato dalla buona musica italiana e dai balli.

Madonna di Loreto



San Justo in festa per la Madonna di Loreto
(www.parrocchie.it)


Il santuario di Loreto conserva, secondo un'antica tradizione, la Casa nazaretana della Madonna. La dimora terrena di Maria a Nazareth era costituita da due parti: da una Grotta scavata nella roccia, tuttora venerata nella Basilica dell'Annunciazione di Nazareth, e da una Casa in muratura antistante.
Secondo la tradizione, nel 1291, quando i crociati furono espulsi definitivamente dalla Palestina con la perdita del Porto di Accon, la Casa in muratura della Madonna tu trasportata, "per ministero angelico", prima in Illiria e poi nel territorio di Loreto (10 dicembre 1294).
Oggi, in base a nuove indicazioni documentali, ai risultati degli scavi archeologici nel sottosuolo della S, Casa (1962-65) e a studi filologici e iconografici, si va sempre più confermando l'ipotesi secondo cui le pietre della S. Casa sono state trasportate a Loreto su nave, per iniziativa umana.
Giovanni Paolo Il nella Lettera per i VII Centenario lauretano, indirizzata a mons. Pasquale Macchi, arcivescovo di Loreto, il 15 agosto 1993, ha scritto: "La S. Casa di Loreto non è solo una reliquia, ma anche una preziosa icona concreta" (n. 2).
E' reliquia perché è "resto", cioè parte superstite della dimora nazaretana di Maria. E' icona perché si fa specchio che riflette ineffabili verità di fede e rifrange luce su alti valori di vita cristiana. Per questo la S. Casa di Loreto è il primo santuario di portata internazionale dedicato alla Vergine (ivi, n. 1). Vengono qui richiamati i messaggi biblico-teologici del ricco magistero-lauretano di alcuni papi, in primo luogo di Giovanni Paolo II.

Culla dell'Immacolata

La Casa nazaretana venerata a Loreto è identificata dalla tradizione con quella in cui la Vergine Maria nacque e fu educata e poi salutata dall'angelo Gabriele'. Lo ha ribadito anche Giulio Il nel 1507 e, in seguito, numerosi pontefici.

La Casa di tutti i figli adottivi di Dio

E’ un motivo teologico caro al magistero di Giovanni Paolo II che vi è tornato più di una volta. La Casa del Figlio dell'uomo è la casa universale di tutti i figli adottivi di Dio. La storia di ogni uomo, in un certo senso, passa attraverso quella casa. La storia dell'intera umanità in quella casa riannoda le sue fila. La Chiesa che è in Italia, alla quale la Provvidenza ha legato il santuario della S. Casa di Nazaret, ritrova lì una viva memoria del mistero dell'Incarnazione, grazie al quale ogni uomo è chiamato alla dignità di figlio di Dio.

In Argentina

A San Justo la statua della Madonna di Loreto è arrivata tre anni fa nella Cattedrale della città. Domenica 13 dicembre in una solenne processione i lauretani hanno festeggiato la Madonna pieni di fede e devozione. La celebrazione eucaristica è stata presieduta da Mons. Baldomero Carlos Martini, accompagnato dal P. Fabrizio Pesce.

miércoles, 21 de octubre de 2009



San Michele Arcangelo
Patrono di Sant’Angelo Le Fratte
(www.comune.santangelolefratte.pz.it)

Cenni storici

Le prime notizie certe sul paese risalgono al II Medioevo (XI – XII sec.). Il primo documento storico a parlare ufficialmente del Casale di Sant' Angelo Le Fratte è il catalogo dei Baroni contribuenti alla spedizione in terra santa, fatta durante il Regno di Guglielmo II il Buono (1178 – 1188). Vengono poi i Cedolari Angioini e i Registri della Cancelleria Angioina. Da questi si apprende che Ruggiero II, salito al trono nel 1130, organizza l'intero territorio Statale in Giustizierati. L'antica Lucania viene divisa in sei Giustizierati : di Basilicata, di Terra d' Otranto, di Terra Bonaventura, di Principato, di Terra Giordana, di Terra di Crato. Quello di Principato comprendeva tutti i paesi della valle del Meandro. E' dunque legittimo considerare formato il Casale di Sant'Angelo Le Fratte già nella prima metà del secolo XI sia pure con popolazione ed abitato esigui. La battaglia di Benevento (1266) costituisce il momento che maggiormente ne ha segnato la storia : essa vede contrapposto Carlo I d'Angiò a Manfredi, figlio naturale di Federico II. Sconfitto quest'ultimo, Carlo affida l'agro ad un suo capitano, Nicola Janville, con la giurisdizione ed il titolo di conte : è il primo signore di cui si abbia notizia.

Il nome

Non conosciamo come e quando il casale abbia preso la sua attuale configurazione e denominazione. Sicuro punto di riferimento per il suo sviluppo è la Cappella dell'Angelo ovvero dell'arcangelo S. Michele, situata al riparo della montagna Crapineto. Ignoto è il punto preciso ove sia sorta. L'abate Giacomazzi si limita a dire che ai suoi tempi la cappella era passata alla amministrazione della “antica e signorile famiglia Mangieri”, conservandone il nome.
Tanto è l'ascendente della devozione all'Arcangelo nei nostri antenati da chiamare il loro agglomerato S.Angelo.
La gastronomia

I prodotti tipici dell'area mediterranea sono gli elementi tipici della cucina tradizionale Sant'Angiolese come ad esempio la pasta, il pane, l'olio di oliva. Vanno tra l'altro anche ricordati i formaggi, i salumi, le carni di agnello e capretto, le verdure. I piatti tipici del paese sono: lagane e ceci, i cavatelli, la ciambotta e l`agnello alla contadina.

La festa

La festa Patronale in onore di San Michele Arcangelo, si tiene il 29 Settembre, giorno della ricorrenza, e l'8 Maggio, giorno di penitenza, istituita a seguito degli eventi sismici del Dicembre 1857 per volere della popolazione quale implorazione al Santo affinché proteggesse l'abitato da ulteriori catastrofe;

I festeggiamenti, preceduti dalla novena, sono molto sentiti dalla cittadinanza, ed in particolare, da concittadini che per motivi di lavoro, hanno dovuto, in passato, trasferire la propria residenza all'estero o nel Nord Italia.

Questi, infatti, da diversi anni, forti per l'attaccamento alla propria terra, alle proprie origini, alla propria fede cristiana, alle tradizioni del luogo, assicurano la loro presenza per onorare il Santo Patrone. Domenica 11 ottobre nei pressi di Villa Luzuriaga (San Justo), la comunità dei paesani si è ritrovata nella parrocchia Stella Maris per rendere omaggio a San Michele. Il Presidente Josè Laurino ha presentato il nuovo stendardo del Santo che è stato benedetto dal parroco padre Roberto Cullari.

viernes, 16 de octubre de 2009



San Michele Arcangelo Sant`Arcangelo, Potenza

Sant' Arcangelo sorge su una collina argillosa, situata nella media valle dell'Agri ed occupa una posizione mediana tra la pianura metapontina e la zona montagnosa di Viggiano. Il paese domina una fascia pianeggiante coltivata ad ortaggi ed a frutta di ogni genere. A circa due chilometri dall'abitato, si estende San Brancato nuovo centro di espansione urbana. Tra il VII e l' VIII secolo fu Gastaldato longobardo, nel XI secolo costituì una delle 12 contee in cui venne diviso lo Stato normanno e nel 1829 fu dominazione feudale dei Della Marra.
Dal 1517 ebbe inizio la denominazione dei principi Carafa, durata fino al 1638.
Il paese da cui provengono i promotori della festa di San Michele Arcangelo in Argentina ha una vita associativa molto attiva, e anche un giornale proprio, la “Ventunora”. Quello stesso spirito che continua a permeare i figli della Basilicata è presente in Argentina. La festa di San Michele, celebratasi domenica 4 ottobre nella sede dell`omonima associazione, ha raccolto un numeroso gruppo di fedeli. Federico La Rocca al termine della celebrazione eucaristica ha cantato il tradizionale inni a San Michele. I festeggiamenti si sono svolti in una atomosfera di gioia e serenità.

jueves, 24 de septiembre de 2009



I santonofresi festeggiano la Santa Croce

STORIA DI SANT'ONOFRIO

In origine il luogo era abitato da monaci basiliani, che qui avevano un monastero. Sono stati trovati reperti di insediamenti precedenti di piccola entità. Il comune prende il nome da un eremita, Sant'Onofrio del Cao, che aveva preso questo nome in onore di Sant'Onofrio anacoreta. Era chiamato "del Cao" in quanto nella zona è presente un pendio, simile a un burrone, chiamato anticamente dai greci Caos. Attualmente nella località "Cao" è presente una fontana munita di vasche, in cui le donne, fino a qualche decennio fa, andavano a lavare.

CUCINA TIPICA DI SANT'ONOFRIO

Essendo una zona agricola, la cucina si basa principalmente su prodotti della terra, a volte "poveri", e sul maiale. Quest'ultimo è lavorato secondo le tradizioni contadine, durante una specie di festa a cui partecipa tutta la famiglia, per produrre insaccati di vario tipo, nella maggior parte dei quali è contenuta una notevole quantità di peperoncino. La pasta tradizionale sono i fileja, una pasta fresca impastata senza uova e poi filata su un bastoncino di legno per farle assumere una forma a elica. Viene condita con sughi di vario genere, principalmente a base di carne. Altre componenti tipiche della cucina tradizionale sono i legumi, a volte preparati con erbe selvatiche, e i peperoni. Durante le feste di Natale, dal giorno dell'Immacolata in poi, vengono prodotti dei dolci fritti di patate, chiamati cururicchi. La cena di Natale è caratterizzata dalla presenza di tredici pietanze diverse, con presenza fissa di piatti a base di baccalà e di verdura.

TRADIZIONI LOCALI

I costumi locali sono incentrati principalmente sulle feste religiose. Oltre alle classiche processioni, il giorno di Pasqua, prima della messa di mezzogiorno, è inscenata l'Affruntata, una rappresentazione dell'annuncio della resurrezione di Gesù Cristo. Come consuetudine in diversi comuni della zona, l'affrontata è eseguita portando a spalla statue di santi. Negli anni '80, dopo un'abbondante nevicata, un grosso ramo di un albero di ulivo si ruppe. Sul tronco scoperto, secondo alcuni, sarebbe apparso il volto di Gesù Cristo. In quella zona, meta di pellegrinaggi per diverso tempo, fu costruita una cappella. Principale festa del paese, oltre a quella del Santo Patrono, è la festa della Santa Croce che si svolge l'ultima domenica di settembre. La festa in onore della Croce venne celebrata la prima volta nel 335, in occasione della “Crucem” sul Golgota, e quella dell'"Anàstasis", cioè della Risurrezione. La dedicazione avvenne il 13 dicembre. Col termine di "esaltazione", che traduce il greco hypsòsis, la festa passò anche in Occidente, e a partire dal secolo VII, essa voleva commemorare il recupero della preziosa reliquia fatto dall'imperatore Eraclio nel 628. Della Croce trafugata quattordici anni prima dal re persiano Cosroe Parviz, durante la conquista della Città santa, si persero definitivamente le tracce nel 1187, quando venne tolta al vescovo di Betlem che l'aveva portata nella battaglia di Hattin.
La celebrazione odierna assume un significato ben più alto del leggendario ritrovamento da parte della pia madre dell'imperatore Costantino, Elena.
Anche quest`anno, l`associazione santonofrese ha celebrato l`antica festa dell`Esaltazione della Santa Croce. In un clima di profondo raccoglimento e devozione, i santonofresi si sono trovati sabato 19 settembre per la messa in memoria dei fedeli defunti e domenica 20 per la solenne feste nella sede rinnovata e abbellita dal generoso sforzo della commissione. Dopo la Santa Messa e la Processione, il tradizionale pranzo ha raccolto circa 300 persone nell`amplio salone dell`omonima associazione.

martes, 15 de septiembre de 2009

San Pietro e San Paolo
Savelli

Un po` di storia…(savellionline.it)

Domenico Paletta, detto u quarararu, nel 1881 inaugurò il triste fenomeno dell'emigrazione. Fu il primo savellese a lasciare l'Italia per emigrare in Argentina, dopo di lui ne partirono altri, poi altri ancora. Padri, mariti, figli lasciarono il paese con intensità crescente tanto che ai primi del '900 non vi era famiglia che non avesse un suo membro emigrato. Le donne che restavano in paese ricevevano le rimesse dei loro cari con cui allevavano i figli e a volte vivevano anche in agiatezza; moltissime dopo pochi anni non seppero più nulla del proprio congiunto e attesero invano una lettera, un saluto.Molte furono le donne che intonarono:

'Merica, chi te via arsa re fuoco,
Cuomu re fuocu fa' vrujiara mmie;
A llu mio bene ti lu tieni lluocu
E llu fa' stare luntanu re mie
Rille si si nde vena o si sta lluocu
O veramente s'è scurdatu e mie
rille si ci addimmura n'atru puocu,
L'ossa ce po' truvare e no r'a mmie!

Si calcola che dal 1881 circa diecimila savellesi abbiano preso la via dell'emigrazione: fu un flusso ininterrotto, che subì una flessione durante il ventennio fascista. Esso si diresse soprattutto verso l'Argentina, solo un numero limitato di persone si recarono nel Nord America e in Australia. A partire dagli anni Sessanta molti braccianti, contadini e artigiani, con al seguito la famiglia, hanno abbandonato Savelli per raggiungere la Francia, la Germania, il Belgio, il Lussemburgo, la Svizzera e il cosiddetto triangolo industriale dell'Italia del Nord. Ogni capofamiglia ha lavorato sodo nelle miniere di carbone del Belgio, alla Fiat di Torino, in ogni dove col pensiero fisso di fare studiare i propri figli per assicurare loro un futuro diverso dal loro, fatto di più certezze. E' stata questa fede che li ha aiutati nel duro mestiere di emigrante: a loro va tutta la nostra eterna gratitudine.

I festeggiamenti

I Savellesi giunti i Argentina hanno mantenuto le loro tradizioni. Hanno fondato l`associazione savellese in onore ai santi patroni Pietro e Paolo. Domenica 13 settembre in data posticipata causa influenza porcina l`omonima associazione era in festa. Nella sede il P. Fabrizio ha celebrato la santa messa e accompagnato la processione assieme la parroco della zona. Dopodichè si è svolto il tradizionale pranzo. Il Presidente dell`associazione Francisco Rotundo ha sottolineato l`importanza dei giovani nell`associazionismo e si è prodigato per la buona riuscita dei festeggiamenti, che hanno raccolto un gran numero di stendardi proveniente dalla associazioni vicine e lontane, aderenti a FACIA e Faca.
Festa della Madonna del Pettoruto

I festeggiamenti delle nostre feste in Argentina sono sempre una bella occasione per saperne di più sull`origine delle nostre devozioni. Ecco uno spezzone di storia del Santuario della Madonna del Pettoruto (www.madonnadelpettoruto.it).
La storia del Santuario si perde nei secoli. Eretto nel 1274 dice il Barillaro, ad iniziativa dell’Abbazia di Acquaformosa, fu ampliato tra il 1633 e il 1646; distrutto dal terremoto del 1783 e ricostruito nel 1834, fu restaurato alla fine dell’Ottocento e poi nuovamente rifatto e ampliato dal 1920 al 1929.
Altre fonti storiche accennano ad una dipendenza del Santuario del Pettoruto dalla “grancia” cistercense del Monastero Abbaziale di Acquaformosa fin dal 1226; da grancia divenne Commenda nel 1348 ed infine Concistoriale nel secolo XVII.
È a questo periodo che si rifanno alcuni manoscritti come quello del canonico Cristofaro e dell’arciprete Cerbelli, che narrano del ritrovamento della statua, ricavata sulla pietra da un latitante di Altomonte, Nicola Mairo che, nel desiderio ardente di vedere riconosciuta la sua innocenza, la scolpiva così come la vedeva: soffusa da un mistico e materno sorriso con gli occhi grandi dallo sguardo penetrante, dal volto ampio e riposante che ispira materna fiducia.
La statua della Madonna fu ritrovata dal pastorello sordomuto di Scalea, Giuseppe Labazia che, sentendosi chiamato per nome da una voce di donna, la scoprì tra gli elci; per prodigio riacquistò l’udito e la parola e fu il primo a praticare e a divulgare la devozione alla Madonna. Fu costruita una piccola cappella che in seguito fu ampliata fino all’attuale grandioso edificio elevato a Basilica da Giovanni Paolo II nel 1979.
La Conferenza Episcopale Calabra, lo ha promosso a Santuario Regionale.
La fede dei devoti della Madonna si è fatta sentire anche quest`anno. Domenica 6 settembre a San Isidro nella sede del Club SOIVA, l`associazione omonima ha fatto onore alla sua Madonna con la tradizionale processione. La santa messa, celebrata nello spiazzale del Club, era gremita di gente. La tenda posta nel centro dello spiazziale, dove è stata riposta la statua della Madonna dopo la celebrazione eucaristica, è si è trasformata in luogo di pellegrinaggio durante tutta la giornata. Intanto, il pranzo all`aperto, la musica italiana dal vivo e il ballo hanno rallegrato lo splendido pomeriggio di amici e devoti.



San Giovanni Battista di Gizzeria
Il Paese e la devozione

Gizzeria, non vanta origini remote, pur essendo parte di un comprensorio archeologico di notevole importanza. Le sole notizie certe della prima costituzione del paese non vanno al di là del periodo Bizantino. Molto controversa è, anche, l'etimologia del toponimo Gizzeria. C'è chi lo ritiene derivante dal greco Izwsios=essere collocata.
La forma Izaria è, invece da ricondurre alla migrazione albanese. In epoca normanna il nome era stato, al contrario, Yussaria. Da Izaria derivò successivamente Jzaria (1510), poi mutatosi, per ragioni fonetiche, in Jazzaria o Jizzeria. Il nome attuale è in uso dal 1753.
La storia del paese, dopo la distruzione da parte dei Saraceni, avvenuta verso la fine dell'anno mille e precisamente il 981, secondo quanto dicono alcune fonti storiche, è prevalentemente centrata, nei primi secoli, sul monastero greco di S.
Nicola, un piccolo agglomerato di pochi abitanti, alloggiati per lo più in pagliai ed abituri. Il cenobio, che sorgeva su un terreno appartenente ai Cavalieri di Malta, ha avuto dapprima una sua vita autonoma, durata fino a quando Roberto il Guiscardo, latinizzandolo, la concesse alla famosa badia benedettina di S. Eufemia. Intorno a questa comunità, si sviluppava così il primo nucleo dell'abitato di Gizzeria, un paese che non avrebbe avuto però un'ulteriore sviluppo se non fosse stato rinvigorito
dall'apporto di alcuni profughi albanesi, venuti nell'Italia meridionale per domare la rivolta dei baroni calabresi, capeggiata da Antonio Centelles, il quale si era ribellato al re di Napoli Alfonso I° di Aragona.
Il culto di San Giovanni Battista, diffusosi prestissimo in tutta la Cristianità, e molte città e chiese ne presero il nome: la chiesa del paese di Gizzeria è una di queste.
Moltissimi sono anche i patronati, di cui ricordiamo i più importanti:
• Per via dell'abito di pelle di cammello, che si cuciva da sé e della cintura, è patrono di sarti, pellicciai, conciatori di pelli.
• Per l'agnello, dei cardatori di lana.
• Per il banchetto di Erode che fu causa della sua morte, è patrono degli albergatori.
• Per la spada del supplizio, di fabbricanti di coltelli, spade, forbici.
• Un inno in suo onore diede a Guido D'Arezzo spunto per i nomi delle note musicali: Ut Re mi fa Sol La Si, ed è quindi patrono dei cantori.
UT queant laxis - REsonare fibris - MIra gestorum - FAmuli tuorum - SOLve polluti - LAbii reatum - Sancte Johannes
• Come battezzatore è patrono dei trovatelli, che venivano abbandonati alle porte dei battisteri.
• È patrono dell'Ordine di Malta.
Questa devozione, di cui abbiamo raccolto qualche stralcio di storia e spiritualità, è stata festeggiata il 31 agosto a Virreyes. In un caldo pomeriggio domenicale si è svolta la processione e la messa. Anche se il clima di festa è stato spezzato dalla sparizione della moglie di Antonio Scumaci, fondatore e presidente per tantissimi anni del Centro Cattolico Italiano di Virreyes. I presenti si sono uniti in preghiere per stare vicino ad Antonio in questo momento di dolore.
La Madonna della Quercia


Questa devozione approdata in Argentina grazie alla fede e alla tenacia di tanti devoti italiani, ha una storia molto ricca di spiritualità cristiana. Facciamo memoria della storia recente. Nel 1984, il 27 maggio, Giovanni Paolo II, nella sua visita a Viterbo, volle incoronare la Madonna e il Bambino dipinti su tegola nel lontano 1417. Molti i santi e beati devoti della Vergine SS. della Quercia: Filippo Neri, Carlo Borromeo, Paolo della Croce, Ignazio di Lojola, Giacinta Marescotti, Lucia Filippini, Rosa Venerini, Lucia da Narni, Colomba da Rieti, Camillo de Lellis, Domenko della Madre di Dio, Crispino da Viterbo, Massimiliano Kolbe, Vincenzo M. Strambi, José Maria Escrivà, Lorenzo Salvi ed altri.
Fra le notizie della storia del santuario, non possiamo dimenticare la grande rovina che i Lanzichenecchi, sterminati poi da una grandinata eccezionale alle pendici del Monte S.Angelo nei pressi di Bagnaia, procurarono al Monumento nel 1527-1528.
Altre volte il complesso monumentale subì l'oltraggio della guerra: agli inizi del 1800 da parte dei soldati francesi al seguito di Napoleone e da parte dei garibaldini nel 1867.
Un altro triste episodio fu il furto, perpetrato la sera di Natale del 1700, che fruttò ai ladri un ingente bottino. Infatti tutti gli ori e gli argenti presenti nella chiesa furono rubati e la tegola della Vergine venne ripulita da tutte le pietre preziose che i fedeli avevano donato. In riparazione fu fatta poi una festa durante la quale si incoronò la Madonna (1706).
Sciaguratamente anche ai nostri giorni, tra il 1970 e il 1980, delle mani sacrileghe hanno fatto per ben due volte ciò che degni compari avevano fatto nel '700.
La devozione della Madonna della Quercia ebbe una più grande risonanza ed arrivò anche in lontane regioni d'Europa. Infatti, ad Ascona (Svizzera) si venera un quadro della Vergine della Quercia dipinto, si dice, da fra Paolino da Pistoia che i frati Domenicani portarono da Viterbo nel 1550.
Ogni anno, la seconda domenica di settembre, giorno in cui si commemorano i "Benefici dalla Sacra Immagine della Beata Vergine della Quercia", numerose città e paesi, con le loro confraternite, partecipano alla processione di ringraziamento, chiamata del "Patto d’Amore"; il sindaco di Viterbo, a nome di tutti i partecipanti , rinnova la consacrazione antica , fatta da tutto l’Alto Lazio nel lontano 1467.
Anche qui a Buenos Aires, terra lontana, dov`è giunta la Madonna della Quercia, l`omonima associazione ha celebrato la festa in suo onore nel Santuario della Madre degli Emigranti alla Boca. Domenica 31 agosto i devoti si sono radunati per la celebrazione eucaristica e la processione. Il pranzo, svoltosi nel salone adiacente, è stato un successo di partecipazione e gioia. Tra i presenti bisogna ricordare Mons. Velasio De Paolis, vescovo scalabriniano impegnato in Vaticano, che di passaggio a Buenos Aires per una conferenza nell`Università Cattolica ha voluto condividere il pranzo assieme ai soci della Madonna della Quercia.

jueves, 27 de agosto de 2009




Centro Cattolico Italiano di Virreyes

La sera del 15 agosto il Centro Cattolico Italiano di Virreyes ha festeggiato quaranta anni.
La messa in italiano che si celebra una volta al mese nella Chiesa di Santa Teresina del Bambino Gesù, è stata ufficiata da padre Costanzo Tessari, scalabriniano, la cui omelia è calata profondo nel cuore di tutti i fedeli che assistevano al sacro rito. Tra i tanti presenti si ricordano i presidenti ed i rappresentanti delle associazioni cattoliche italiane della zona, la direttrice della scuola pubblica in cui il Centro Cattolico dà i corsi di italiano, il presidente della Dante Alighieri di San Isidro Mario Canonico.
Dopo aver nutrito l’anima le persone del Centro Cattolico Italiano di Virreyes si sono fermate nel salone parrocchiale per festeggiare il traguardo raggiunto, mentre il presidente Giuseppe Laurino li salutava uno ad uno.
I soci fondatori presenti hanno presentato il nuovo stendardo che è stato collocato nell’angolo in cui quaranta anni fa si era deciso di fondare il Centro Cattolico Italiano.
A questo punto la segretaria del Circolo, Norma Novello, che è stata una delle prime alunne dei corsi di italiano, ha detto quanto segue:
“Quarta anni fa è nato, nell’antico salone parrocchiale di questa chiesa, il Centro Cattolico Italiano di Virreyes, frutto del desiderio di un sacerdote dell’ordine degli scalabriniani, padre Vittorio Dal Bello e di un gruppo di giovani di origine italiana, che si incontravano per partecipare insieme ai festeggiamenti in onore di San Giovanni Battista.
Il signor Bruno Manello, ne è stato il primo presidente, tra i giovani intraprendenti c’erano: Fausto De Angelis, Antonio Scumaci, Francesco Santo, Francesco Picarelli, Leopoldo De Gori, Giacomino Perticaro e altri. Fausto De Angelis e Francesco Picarelli sono stati in seguito, rispettivamente presidente e vice presidente dell’esercizio seguente.
Si è fissata la prima riunione per il 30 agosto 1969 e la signorina Aquilina Mastroianni, ha proposto di celebrare la santa Messa in italiana il terzo sabato di ogni mese. L’allora segretario Antonio Scumaci, che con il tempo ha ricevuto l’onorificenza di cavaliere, ha redatto il primo verbale, mentre il vice segretario Fausto De Angelis ha consigliato che la prima commissione restasse in carica per due anni.
Il consigliere Francesco Santo ha suggerito che, dopo la mensile santa Messa in italiano i fedeli si riunissero nell’antico salone parrocchiale e che quest’ultimo servisse come punto di riunione per la collettività italiana per condividere tutti insieme qualche dolce ed un caffè ricordando la cara Patria.
Il Centro non ha mai smesso di trasmettere tutto ciò che avevano fissato i soci fondatori: come ha detto Mons. Scalabrini “Portare ovunque ci sia un italiano il conforto della fede ed il sorriso della Patria”, far conoscere la lingua, l’arte e la cultura italiane, dare consigli agli italiani in modo che possano inoltrare le pratiche nei pertinenti uffici italiani, stringere il più possibile vincoli fraterni tra l’Italia e l’Argentina, risaltare il lavoro degli italiani, valorizzare il loro impegno per raggiungere la stabilità economica e promuovere la crescita della nazione Argentina senza dimenticare mai la terra che gli ha dato i natali e che sono stati obbligati a lasciare per diversi motivi.
Come estensione culturale nel 1974 si è dato origine, nel refettorio della famiglia dei Club de los Leones, in via Santa María de Oro, a Virreyes, ai corsi di italiano tenuti gratuitamente dall’allora studentessa di medicina, prof.ssa Rosa Palermo e nell’occasione, amici del Centro hanno assistito alla santa Messa presieduta dal padre diocesano Luís María Tridenti.
Dal 1983 il Centro Cattolico Italiano di Virreyes dà i suoi corsi di italiano, nella scuola N. 21 di Virreyes, che gli presta le sue istallazioni. I corsi sono di quattro livelli: 1º, 2º,3º,4º. Quest’anno gli alunni del 1º e del 2º anno sono stati divisi in due, con un totale di 6 gruppi.. Con questa celebrazione il Centro desidera rendere omaggio ai soci fondatori, a tutti i membri delle commissioni, che si sono susseguite nel tempo, a tutti coloro che hanno regalato il loro tempo e fatto enormi sforzi per realizzare un sogno, alle professoresse, all’infinità di alunni che hanno studiato e studiano nel Centro ed in modo speciale ai tre soci fondatori qui presenti: Leopoldo De Gori, Aquilina Mastroianni, che ancora oggi riveste l’incarico di vice presidente e della quale ricordiamo la profonda fede ed il suo desiderio di trasmetterla, e il cav. Antonio Scumaci, che è stato presidente del Centro per quasi trentotto anni.
Dire italiano e dire Virreyes è motivo di orgoglio per le persone cha fanno parte del Centro ed al giorno d’oggi italiano e Virreyes sono parole che si pensano sempre insieme, così come lo sono l’Italia e l’Argentina.
Che la santissima Vergine Maria, Madre dei Migranti, Santa Teresina e la Santissima Trinità benedicano questo Centro affinché continui a lavorare per Virreyes e per tutta la collettività italiana.
Molte grazie a tutti per averci accompagnato nella Santa Messa e per essere stati presenti in questi umili festeggiamenti.
Tante grazie a tutti e buona serata!”
Dopo aver trascorso piacevoli momenti insieme, si è fatto tardi e la gente ha fatto ritorno a casa.

miércoles, 10 de junio de 2009

link utili

Vi invitiamo a conoscere il salone d´eventi e catering di Stefano Pesce
nei suoi siti web:

Los invitamos a conocer el salón de eventos y catering de Stefano Pesce


www.stefanopesce.blogspot.com

www.lacoppola.com.ar

miércoles, 20 de mayo de 2009

Festa dei Santarcangiolesi a Buenos Aires





Associazione Santarcangiolesi

Festa di San Michele Arcangelo

Domenica 10 si è svolta nella sede dell’Associazione, in via José Enrique Rodó 7339, la festa di San Michele Arcangelo patrono di Sant’Arcangelo ( Potenza).
Federico La Rocca, delegato in Facia, poiché il presidente era in Italia, in veste di anfitrione ha ricevuto i suoi concittadini e gli invitati.
La giornata è iniziata con una S. Messa celebrata dal cappellano della collettività italiana padre Fabrizio Pesce.
Nel suo sermone il sacerdote ha fatto notare che per vivere secondo la religione, non è fondamentale solo la frequentazione dei riti, ma è molto importante seguire l’esempio di Gesú e fare opere di misericordia.
Il rito sacro è finito con l’Inno di San Michele intonato da quasi tutti i presenti. È seguito un pranzo, durante il quale il presidente Roberto Cifarelli ha telefonato dall’Italia ed ha salutato i suoi Compaesani. Tony Latino ha iniziato a rallegrare il pomeriggio a partire dal momento dei dolci ed è stato molto bravo.
È stata una splendida occasione per il rincontro, il ricordo e l’allegria.Il giorno di San Michele è l’8 maggio, ma i santarcangiolesi di Buenos Aires, se non cade di domenica lo festeggiano il primo giorno di festa successivo e la prima domenica di ottobre svolgono la processione.
San Michele Arcangelo è patrono del paese perché era il santo protettore dei Longobardi, che, nella seconda metà del VII secolo, convertirono quello che fino ad allora era un borgo in un ridente centro artigianale e commerciale.
L’Associazione è nata nel 1971, quando alcuni emigrati di quel centro hanno pensato di riunire i compaesani per ricreare in parte l’atmosfera sociale che avevano lasciato.
Tra i soci fondatori c’erano Michele Zitarosa, Vito Sansonelli, Francesco Lo Ponte, Nicola Bruno, Lucio Cifarelli, Vincenzo Viggiani, Federico La Rocca, Francesco Briamonte, Nicola Bruno ed anche le suore: Rosa, Giuseppina e Vittoria del “Colegio Beato Vicente Grossi” ed altri.
Federico La Rocca e signora

Federico La Rocca ha conosciuto sua moglie, Rosa Russo venti minuti dopo il suo arrivo in Argentina.
La signora Rosa è di Amendolara,Prov. di Cosenza. I due coniugi sono i primi dell’Associazione ad aver compiuto 50 anni di matrimonio. Le loro nozze d’oro sono state celebrate nel 2001 da padre Giuseppe Tomasi e da padre Italo Serena. Federico La Rocca il prossimo 7 giugno compirà 60 anni di Argentina.

jueves, 14 de mayo de 2009

festa della cinta















La festa della “Cinta

La festa della "Cinta" è una festa che si svolge ogni prima domenica di maggio e pare abbia avuto origine nella seconda metà del XVII secolo, ripresa, poi, con più
entusiasmo dopo il terremoto del 1783. In quel periodo quei luoghi furono colpiti da una terribile carestia, seguita da pestilenza, quindi le genti di quelle contrade decisero di porsi sotto l'alta protezione della Madonna. Un singolare pellegrinaggio, formato anche dagli abitanti delle contrade vicine, accorse al Pettoruto e ai piedi della Madonna venne formata una "recinzione" simbolica, un muro contro il male, da qui il nome "Cinta". Il morbo non varcò quei confini idealmente sbarrati, e con il ritorno della primavera tutto ritornò a fiorire e si gridò al miracolo. Da allora la prima domenica di maggio si perpetua questa consuetudine e si va in processione a ringraziare la Madonna. Una fanciulla vestita di bianco reca un cesto di vimini foderato di candida seta ed adorno di fiori contenente una lunga cordicella imbevuta di cera: la "CINTA". La fanciulla, col sacro fardello sulla testa, lascia la chiesa matrice preceduta dal sacerdote e seguita dai fedeli e a piedi si percorre la vecchia strada che conduce al Pettoruto. Qui viene celebrata una solenne messa e benedetta la "cinta" che poi viene ridotta in piccoli pezzi e distribuita ai fedeli per accenderla nei momenti di grave bisogno. Questa festa una volta veniva celebrata anche in altri comuni limitrofi ma da qualche anno in quà si svolge solo a San Sosti.
Anche in Argentina, la comunità di San Sosti ha mantenuto viva questa tradizione. Infatti, domenica 3 maggio, in una fresca mattinata il piccolo popolo dei devoti della Madonna del Pettoruto si è riunito nella sua cappella di San Isidro per celebrare la Santa Messa e poi andare in processione fino alla sede abruzzese, dove si è svolto il pranzo. Il presidente dellassociazione ha ricordato, in particolar modo, l’impegno di Franca Alì, che, nonostante la malattia della mamma, ha lavorato per il successo della festa.

martes, 5 de mayo de 2009







Mamma Schiavona

A quasi 1300 metri di altezza, nella catena del Partenio, nell’Appennino irpino, tra vette gigantesche che formano autentici baluardi dell’altopiano, sorge il più famoso santuario dell’Italia Meridionale, sul posto che ai tempi del grande poeta latino Virgilio, sorgeva un tempietto dedicato a Cibele, dea della natura e della fecondità.
Virgilio che era un intenditore, salì varie volte su questo altopiano che porta il suo nome, lasciando i suoi impegni a Napoli, per trovare le pianticelle aromatiche per distillare gli elisir di lunga vita, che poi nei secoli successivi e ancora oggi, i frati produssero distillando i liquori benedettini tipici del luogo.
Non era facile arrampicarsi lassù su quei monti dell’Irpinia, ma alle dovute soste per riposarsi, ci si poteva ritemprare lo spirito con le vedute mozzafiato che da lì si ammiravano, dal Vesuvio, alla vicina Avellino, l’intero golfo di Napoli con le meravigliose isole di Capri, Ischia, Procida e poi la vasta pianura della fertile Campania.
Nei primi anni del 1000, arrivò su questa montagna un giovane pellegrino diretto in Palestina, ma per volere di Dio dirottato qui, Guglielmo da Vercelli.
Con addosso un saio visitò i Santuari dell’Italia settentrionale, poi andò in Spagna a S. Giacomo di Compostella e al suo ritorno decise di percorrere tutta la penisola per andare in Terrasanta; ma proprio quassù Gesù gli apparve dicendogli di fermarsi e di erigere un tempio alla Vergine al posto di quello dedicato alla Gran Madre pagana.
Guglielmo non era di carattere facile e dopo aver distrutto il preesistente tempio con l’idolo, si impose a vescovi e papi, per mettere in atto il suo intento e costruì una piccola chiesa alla Vergine Maria. Fondò una Organizzazione monastica germogliata dal tronco benedettino che chiamò Congregazione Verginiana; la fama di questi eremiti - monaci si sparse in tutta l’Italia Meridionale e Sicilia.
San Guglielmo espose nella chiesetta alla venerazione dei fedeli, una piccola immagine della Madonna, che negli ultimi decenni del XII secolo fu sostituita da una bellissima tavola, dove la Vergine appare incoronata e in atto di allattare il Bambino, questa tavola è conservata nel museo del Santuario ed è detta ‘Madonna di s. Guglielmo’. Il santo monaco fondatore si spense probabilmente il 25 giugno del 1142 nel monastero di S. Salvatore in Goleto (AV), mentre i primi pellegrini salivano il monte Partenio, sempre più numerosi.
Ben presto Montevergine diventò la casa madre di 50 piccoli monasteri che erano stati via via fondati, poté così imporre la realtà della propria esistenza ai papi ed ai re di Napoli, chiedendo la propria indipendenza.
La tavola della Madonna fu sostituita intorno al 1300 da una immagine imponente, su una tavola di notevoli proporzioni, rappresentante la Madonna, che prenderà il titolo di Montevergine, seduta su una grande seggiola, con il Bambino sulle ginocchia.
L’icona giunse a Montevergine circondata da leggenda e devozione; si diceva dipinta addirittura da s. Luca, che aveva conosciuta la Madonna e aveva osato ritrarla, egli sarebbe soltanto l’autore del capo, ma sgomento non aveva finito il viso; addormentatosi, l’aveva trovato completato il mattino dopo da misterioso intervento celeste.
La gente la chiamò “Madonna Bruna”, o anche detta, “Mamma Schiavona”, e così è giunta l`immagine anche in Argentina, dalle parti di Lomas del Mirador, dove un folto gruppo di fedeli l`ha devotamente omaggiata. Infatti, domenica 19 aprile nella sede dell`Associazione di San Giovanni di Montemarano il P. Fabrizio, invitato dal presidente Carmelo Bonetti, ha celebrato la santa messa, a cui è seguito il pranzo. L`immagine della Madonna di Montevergine splendeva maestosamente nella fresca e soleggiata domenica per la gioia dei suoi devoti.












San Gabriele dell`Addolorata

L`autunno arrivato da un giorno all`altro ha concesso alla associazione Radici Abbruzzesi di San Isidro di festeggiare San Gabriele dell`Addolorata in una meravigliosa giornata di sole. L`aria fresca conciliava l`atmosfera serena e festosa che ha riunito gli italo-argentini di origine abruzzese nella loro splendida sede domenica 19 aprile. Nella mattinata si è svolta la santa messa celebrata in italiano e presieduta dal cappellano della comunità italiana. Subito dopo la processione di San Gabriele ha contagiato di gioia il quartiere circostante. La giornata è seguita con il pranzo nel salone dell`associazione. Bisogna fare i complimenti al novello presidente Antonio D`Alessandro, che nonostante alle prime armi, è stato attento ai minimi dettagli. La celebrazione eucaristica e la processione si sono svolte in un clima di intensa fede e devozione. La partecipazione di questa comunità italo-argentina è veramente ammirevole, ma lo è soprattutto il loro impegno nel rendere onore a San Gabriele e nel dare prestigio e bellezza alle tradizioni italiane in Argentina.

San Francesco di Paola
Vena Inferiore


San Francesco di Paola è certamente una delle devozioni italiane piu` diffuse in Argentina. Ad un anno dal V centenario della sua morte (1507-2007), le comunità che venerano il santo calabrese lo hanno festeggiato con tutti gli onori. Va ricordato che, oltre al monolito del Santo nella città di Buenos Aires, San Francesco è festeggiato e fortemente venerato nella chiesa di Uquia nella provincia di Jujuy, esiste un monumento dedicato al santo a Puerto Madryn, nella città di Santa Cruz si trova il Faro Cabo de San Francisco de Paola e, infine, la Bahia delle isole Malvinas porta il nome del santo calabrese.
Domenica 19 aprile, la comunità calabrese proveniente da Vena Inferiore ha festeggiato San Francesco nei pressi di Lomas del Mirador. La parrocchia di San Giovanni Bosco e Santa Chiara ha accolto la festa che tutti gli anni si svolge per le strade del quartiere, con la partecipazione di molte associazioni, ma anche della scuola parrocchiale. I bambini della scuola rappresentano piccoli sketch teatrali e danzano folklore argentino. Durante la mattinata della domenica si è svolta la prima solenne messa, presieduta da Mons. Baldomero Carlos Martini. Nel pomeriggio la processione si è conclusa con la messa presieduta dal cappellano della collettività italiana, che ha sottolineato la necessità di un gesto di solidarietà verso i terremotati dell`abbruzzo.

viernes, 27 de marzo de 2009

San Mauro Castelverde

Senz`ombra di dubbio i fondatori del quartiere di San Mauro Cstelverde di Quilmes non avrebbero mai immaginato che la devozione potesse mettere radici così profonde nella loro zona di residenza. La storia racconta che l`originale paese italiano fu chiamato San Mauro perchè alcuni monaci benedettini donarono agli abitanti una parte del cranio di San Mauro. Nel 1863 fu aggiunto l'appositivo Castelverde derivato dall'omonimo castello costruito nelle vicinanze del luogo. A Quilmes non c`è il craneo di San Mauro e neanche il castello, ma due splendide scuole e una cappella. Gli abitanti della zona si fanno chiamare maurini e anche quest`anno come da sempre hanno celebrato il loro santo nella tradizionale festa patronale. Svoltasi domenica 15 marzo, la festa di San Mauro è stata illuminata da una meravigliosa giornata di sole e dalla gioia dei maurini nel festeggiare il loro santo patrono.

San Nicodemo

San Nicodemo di Mammola

La Festa Patronale in onore di San Nicodemo Abate Basiliano si svolge ogni anno il 12 marzo, in ricordo della morte avvenuta a 90 anni e precisamente il 12 marzo del 990 nell'antico Monastero del monte Kellerano sugli altipiani della Limina nel Parco Nazionale dell'Aspromonte territorio di Mammola.
Gli annali raccontano che Teofane e Pandia furono i genitori di Nicodemo, che nacque a Cirò (Catanzaro) nei primi anni del X secolo, lo affidarono alla cura spirituale di un pio e dotto sacerdote, Galatone, contemporaneamente il ragazzo progredì nelle scienze sacre e nella pietà. Entrato nella vita monastica, chiese l’abito monastico all’austero abate s. Fantino, ma gli fu rifiutata più volte questa richiesta, perché non veniva ritenuto adatto a quella vita di studi, penitenze e mortificazioni, vista la sua gracile costituzione fisica. Deluso ma non convinto, insisté tramite i buoni auspici di altri monaci, finché s. Fantino commosso dalle sue insistenze, gli concesse l’”abito angelico”, così chiamato tra i monaci greci di quel tempo.
Nicodemo divenne insieme a s. Nilo di Rossano, esempio splendente di vita ascetica del Mercurion, cresciuti e formati tutti e due alla rigida scuola dell’abate s. Fantino; essi accomunati ad altri santi monaci calabro-siculi resero famosa in tutta la Cristianità la loro Comunità, al punto che Oreste, patriarca di Gerusalemme la descrisse elogiandola, nei suoi autorevoli scritti e biografie.
Nonostante i settanta anni passati nell’asprezza della vita ascetica, Nicodemo visse circa 90 anni, tantissimi per quei tempi e a dispetto della sua gracile costituzione fisica; morì nel monastero di Mammola, che prese poi il suo nome, il 25 marzo 990.
I miracoli fiorirono sulla sua tomba e quindi venne proclamato santo, allora non c’erano tutte le procedure che occorrono oggi. Nel 1080 i Normanni trasformarono il piccolo oratorio con la sua tomba, in una grande chiesa, restaurando anche il monastero e concedendo privilegi e beni.
Le reliquie furono poi traslate nella chiesa di Mammola nel 1580 che lo proclamò suo patrono nel 1630, fissando la festa liturgica al 12 marzo. I pontefici nei secoli successivi concessero particolari indulgenze nell’occasione della sua festa e altre celebrazioni.
Il Comune di Mammola nel 1884 fece decorare artisticamente la cappella, una ricognizione delle reliquie è stata effettuata il 12 maggio 1922 nella coincidenza dell’inaugurazione della ricostruita e abbellita chiesa.
Qui in argentina, grazie allo sforzo dei mammolesi emigrati, la devozione a San Nicodemo di Mammola si è mantenuta intatta, ed ogni anno l`associazione mammolese rende onore al suo santo patrono. Quest`anno la sede dell`associazione Cinquefrondi è stato il luogo ideale per una festa, svoltasi tra amicizia e cordialità la domenica 15 marzo. Alla messa è seguito il tradizionale pranzo e balli all`aperto.

martes, 27 de enero de 2009

Santa Cristina di Sepino, Monte Chingolo. Lanus


Santa Cristina di Sepino

Le feste patronali dell`associazione sepinese di Monte Cingolo, realizzatesi domenica 11 gennaio, sono senza dubbio una bella occasione per riscoprire una devozione, che ha attraversato l`oceano per arricchire l`Argentina della fede, la storia e della cultura dei sepinesi.
Le prime testimonianze di fede cristiana nel territorio di Sepino sono documentate dalla presenza, nel V secolo, di una sede vescovile a Saepinum, l'antica Sepino romana in località Altilia.
E' documentato, infatti, l'insediamento nell'anno 454 del vescovo Palladio e nel 501 di Proculeiano, il quale partecipò al sinodo celebrato a Roma da Papa Simmaco. A seguito della dominazione Longobarda, presente in questa zona già nel VI secolo, verosimilmente la diocesi venne a cadere.
La città di Saepinum, che intanto aveva preso il nome di Altilia e annessa al Castaldato di Boiano, si spopolò progressivamente a seguito anche di calamità naturali, come terremoti e alluvioni.
La città ritornò a nuova vita per merito del processo di recupero dell'agricoltura ad opera del monastero benedettino di S. Sofia di Benevento, che ha avuto una sede ad Altilia fino al 1119.
Le mutate condizioni politiche e la posizione in pianura, difficilmente difendibile, esposero però la città ai continui saccheggi dei Saraceni e ne decretarono, nel 882, il definitivo abbandono a favore di una posizione più a monte dove nacque il "Castellum Saepini", l'attuale Sepino.
Alla fine del 1089, secondo la tradizione popolare, un avvenimento eccezionale sconvolse la città di Sepino.
Due pellegrini, diretti in Terra Santa provenienti da Montpelier e transitati da Bolsena, portarono a Sepino le reliquie di S. Cristina. La popolazione, venutane a conoscenza, fece voto di fede ed elesse S. Cristina a protettrice.
Era il 10 gennaio 1099; da quel momento la Chiesa trasformò il titolo in S. Cristina.
A Sepino, Santa Cristina è festeggiata con la “crianzola”, una cena organizzata dal Sindaco che vede la partecipazione esclusiva dei capo famiglia del paese e delle contrade, durante la quale si assaggiano vini offerti dai produttori locali in ricordo di una vecchia usanza; c`è la consegna del "cartoccio": il cartoccio è un dono tradizionale dell'amministrazione comunale ai bambini di Sepino, confezionato con leccornie varie e dolci tradizionali; e infine, il giorno prima della grande festa, la processione delle Verginelle: bambine vestite di bianco, simbolo della purezza Santa, dopo aver ricevuto il cartoccio accompagnano i membri dell'amministrazione comunale in chiesa, dove si svolge la messa. Il sindaco reca in dono alla Santa oro, incenso e mirra.
Il legame che unisce i sepinesi di Lanus con il paesello d`Italia li vede affratellati in un gemellaggio, dove il ricordo reciproco li mantiene uniti non sono nei festeggiamenti, ma anche negli interscambi. Infatti, quest`anno il presidente dell`associazione sepinese ha annunciato la possibile presenza del parroco e del sindaco di Sepino per la prossima festa patronale a Lanus. Quest`anno il clima non è stato inclemente verso i devoti, che hanno celebrato la festa con la tradizionale messa, processione e festeggiamenti al`aperto.